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Non è solo un problema di notizie false

Lorenzo

Editor, G2r
giu 23, 2018 | 7:53 PM

Andare a caccia di notizie false costringe a molti interrogativi. Domande che sono precedenti alle fake news in sé, che non riguardano la capacità di verifica delle fonti, di individuazione di qualche troll vagante o dei magheggi  messi in atto per manipolare, distorcere e maltrattare il dato di fatto.


Prima di ogni analisi, giudizio e considerazione chiediamoci: come è possibile che un fenomeno come le fake news sia diventato ingestibile? perché l’homo digitalis nella declinazione social è molto più insipiens che sapiens? C’è infatti da comprendere dove sia finita la capacità di discernimento, quel vedere chiaro con l’intelletto che è lo strumento più potente che ognuno ha per distinguere il vero dal falso, per discernere «ove si va» quando la notte è «sì buia e sì oscura», come scrive Boccaccio nel Decameron.


Don’t Believe the Hype cantavano i Public Enemy negli anni Ottanta. Don’t believe the hype! non credete a ciò che si dice, non fatevi ingannare. Purtroppo le bufale ci confermano quanto sia facile fare partire il click compulsivo, per superficialità, per rabbia, per ignoranza.


C’è un bel libro di un centinaio di pagine del filosofo Byung-Chul Han, Nello sciame, che mette in luce come oggi il socius abbia lasciato il passo al solus: «Non la moltitudine, quanto piuttosto la solitudine contraddistingue la forma sociale odierna, sopraffatta dalla generale disgregazione del comune e del collettivo». Forse che sia proprio qui il punto dolente? Nella comunicazione de-medializzata, in cui ciascuno può produrre e diffondere opinioni e informazioni.


«L’ho visto su Facebook!», è stato il mantra degli ultimi tempi. Tutti attori di una scrittura collettiva che progressivamente si è discostata dalla realtà reale, un blob abnorme, una somma infinita di parole che producono un rumore costante. Chiasso, nel quale tutto si mescola e confonde.


Ripetiamolo e ripetiamocelo, prima di qualunque discorso sulle fake news, guardiamoci dentro e cerchiamo di essere onesti con noi stessi, a faccia a faccia con quell’Io che custodiamo sotto la pelle. Un Io sempre più fagocitato dall’Ego, da quell’infatuazione eccessiva della propria immagine. L’egocentrismo non ha più ritegno, va a nozze con gli strumenti digitali. Qualche crepa alla capacità di consapevolezza è avvenuta e oggi respiriamo un nuovo straniamento, estremizzato e amplificato; un nuovo tipo di estraneità dell’uomo alla sua più vera e autentica essenza.


L’alienazione social, fatta di apparenze, una iperbole dell’uomo massificato descritto da Ortega Y Gasset negli anni Trenta: «banale, superficiale,vive in modo dozzinale e gregario, fugge problemi inquietanti, curioso che non approfondisce nulla, evade responsabilità, incapace di pensare in proprio, di riconoscere il carattere tragico della propria esistenza. Anonimo, conformista, acritico, puerile, volgare, filisteo, generico che ragiona per luoghi comuni».


Solo la conoscenza ci può salvare, ripartiamo da questo.