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Egosurfiamo

Lorenzo

Editor, G2r
lug 21, 2018 | 7:06 PM

Il narcisismo e l’era social-digitale. È interessante porre l’attenzione sulle dinamiche scatenate dagli strumenti digitali guardandole dalla prospettiva del narcisismo. Freud nel 1914 in Introduzione al narcisismo dà una definizione di questo termine: «Il termine narcisismo deriva dalla descrizione clinica ed è stato scelto da Näcke nel 1899 per designare il comportamento di una persona che tratta il proprio corpo allo stesso modo in cui è solitamente trattato il corpo di un oggetto sessuale, compiacendosi cioè sessualmente di contemplarlo, accarezzarlo e blandirlo, fino a raggiungere attraverso queste pratiche il pieno soddisfacimento. Sviluppato fino a questo grado il narcisismo ha il significato di una perversione che ha assorbito l’intera vita sessuale dell’individuo, ed è quindi soggetto alle aspettative con cui ci accostiamo allo studio di tutte le perversioni.»


Gli studi riguardanti i processi di viralità delle informazioni hanno dimostrato i collegamenti tra questo fatto e il narcisismo. Il narcisismo nella Rete ha trovato un nuovo specchio, nuove fonti di appagamento e nuove forme di adorazione. Andare a fondo di un fenomeno come le fake news significa, a sua spiegazione, andare a fondo dei meccanismi umani. È fondamentale comprendere in pieno se stessi e la società in cui si vive per poter diventare un fattore differenziante e non replicante.


Oggi la caccia ai replicanti è mutata. Non è più quella di Rick Deckard, il protagonista del romanzo fantascientifico di Philip K. Dick Il cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep? da cui nel 1982 è stato tratto Blade Runner di Ridley Scott). Qui la tecnologia aveva permesso la creazione di esseri robotici simili agli umani, oggi la tecnologia sta creando esseri umani simili ai robot. Internet ha estremizzato la dinamica del “pregiudizio di conferma”. La nostra mente può finalmente godere di un suo personalissimo harem virtuale con cui appagare il proprio bisogno di omologazione.


Max Weber riteneva che «l’uomo è un animale sospeso fra ragnatele di significati che egli stesso ha tessuto» e la cultura era rappresentata da queste «ragnatele». Purtroppo le ragnatele della Rete stanno rendendo l’uomo preda di se stresso. Le persone spesso si ritrovano a essere mosche intrappolate in contenuti falsi, falsati e fortemente emotivi, che lasciano un’impronta nel nostro cervello. La parola d'ordine è emozionarsi: un’emozione totale, collettiva, globale, a tratti al limite dell’isteria. Si gioisce, si protesta, si inveisce a flusso ininterrotto. E si aspetta un like, una notifica, un cenno di quella conferma e approvazione di cui si ha tanto bisogno.


«Caro compatriota, devo umilmente confessarlo. Sono sempre stato pieno di vanità da scoppiare. Io, io, io, ecco il ritornello della mia cara vita, riecheggiante in tutto quel che dicevo.» (Albert Camus)


La vanità, miei cari signori, la vanità. Alzi la mano chi non ha mai fatto egosurfing. La tentazione è troppo forte per non esserci incappati nemmeno una volta, digitando il proprio nome in un motore di ricerca per verificare come e quanto si è presenti nel web. Correva l’anno 1998 quando l’Oxford English Dictionary ha introdotto questo neologismo (che ha molto a che vedere anche con la reputazione virtuale personale o professionale, ossia la ricerca online volta a verificare l’esattezza delle informazioni e dei dati che ci riguardano, tema che merita un capitolo a parte). Egosurfando ci cerchiamo.


Non avevamo bisogno di internet per sapere che l’io si costituisce e si sviluppa tramite l’interazione con l’Altro. La mente umana ha una natura sociale e attraverso la comunicazione con l’altro può sviluppare l’intelligenza e il senso del sé. La realtà virtuale sta però cambiando la realtà percepita. L’Altro virtuale è l’ennesimo specchio di cui necessitiamo per riavere la nostra immagine. Internet consente un’estasi narcisistica autocontemplativa, di infinito specchiamento e autocompiacimento.


La definizione di Marshall McLuhan di media include «qualunque tecnologia crei un’estensione del corpo umano e dei sensi, dall’abbigliamento al computer. E un punto fondamentale, che ripeto, è quello che le società sono sempre state modellate più dalla natura dei media con cui gli uomini comunicano che dal contenuto di tale comunicazione. Qualunque tecnologia possiede il tocco di re Mida; quando una società sviluppa un’estensione di se stessa, tutte le altre funzioni di quella società tendono a trasformarsi per adattarsi alla nuova forma; una volta che una nuova tecnologia penetra una società, essa ne satura ogni istituzione. Le nuove tecnologie sono, quindi, agenti del cambiamento.»


L’Homo Sapiens è da sempre Homo Technologicus, scopre e inventa nuovi strumenti da cui viene a sua volta modificato. Se in passato questo processo era lento e graduale, adesso l’accelerazione esponenziale e inarrestabile sta sottoponendo l’essere umano a cambiamenti sempre più repentini. L’uomo è in continua evoluzione biologica, culturale e tecnologica. Questa rapidità ha conseguenze non trascurabili, di fragilità e instabilità: sulla nostra psiche, sulla nostra personalità e sulla nostra identità.


Per questo è necessario comprendere le trasformazioni rivoluzionarie causate dai nuovi media.


«Le persone stanno iniziando a capire la natura della loro nuova tecnologia, ma il loro numero non è ancora sufficiente – e la loro comprensione non è abbastanza profonda. Molta gente, come ho indicato, si tiene ancora avvinta a quella che ho chiamato una visione del loro mondo dallo specchietto retrovisore. Con ciò intendo dire che, a causa dell’invisibilità di ogni ambiente durante il periodo della sua prima manifestazione, l’essere umano è cosciente solo dell’ambiente che lo ha preceduto; in altre parole, un ambiente diviene pienamente visibile solo quando è stato soppiantato da un ambiente nuovo; quindi, siamo sempre un passo indietro nella nostra visione del mondo. Visto che siamo storditi da ogni nuova tecnologia – che a sua volta crea un ambiente totalmente nuovo – tendiamo a rendere più visibile il vecchio ambiente […] Il presente è sempre invisibile poiché è ambientale e satura l’intero campo dell’attenzione in modo totale; nessuno quindi, eccetto l’artista, l’uomo dalla coscienza integrale, è vivo quando un nuovo giorno inizia. Nel bel mezzo dell’era elettronica del software e del movimento istantaneo dell’informazione, crediamo ancora di vivere nell’era meccanica dell’hardware. Al culmine dell’era meccanica, l’uomo guardava indietro, verso i secoli precedenti, alla ricerca di valori “pastorali”. Il Rinascimento e il Medioevo erano completamente orientati verso Roma; Roma era orientata verso la Grecia, e i Greci erano orientati verso gli arcaici pre-omerici. Capovolgiamo così l’antica norma del cercare di apprendere procedendo da ciò che è familiare verso ciò che è sconosciuto, andando in realtà da ciò che sconosciuto verso ciò che è familiare, il che non fa altro che tradurre il meccanismo annebbiante che si verifica ogni volta che un nuovo mezzo estende drasticamente i nostri sensi. […] Nel passato, gli effetti dei media venivano sperimentati in maniera più graduale, e ciò permetteva all’individuo e alla società di assorbire e attutire in una certa misura il loro impatto. Oggi, nell’era elettronica della comunicazione istantanea, credo che la nostra sopravvivenza, e alla fin fine il nostro benessere e la nostra felicità, si fondino sulla comprensione della natura del nostro nuovo ambiente, poiché, diversamente dai mutamenti che avvenivano nel passato, il mezzo elettronico realizza una trasformazione della cultura, dei valori e delle attitudini totale e pressoché istantanea. Un tale sconvolgimento genera sofferenza e perdita d’identità, che possono essere curate solo con il raggiungimento della consapevolezza delle dinamiche in opera. Se comprendiamo le trasformazioni rivoluzionarie causate dai nuovi media, possiamo prevederle e controllarle; ma se perseveriamo nella nostra trance auto-indotta, ne diverremo gli schiavi. A causa dell’impressionante velocità con cui oggi si muovono le informazioni, abbiamo la possibilità di conoscere, prevedere e influenzare le forze ambientali che ci modellano – e quindi riprendere il controllo del nostro destino. Le nuove estensioni dell’essere umano e l’ambiente che esse generano sono le manifestazioni centrali del processo evolutivo, e tuttavia ancora non siamo in grado di liberarci dall’illusione che sia il modo in cui un mezzo è utilizzato che conta, e non tanto che cosa esso fa a noi e con noi. Questo è l’atteggiamento da zombie dell’idiota tecnologico. È per sfuggire a questa trance da Narciso che ho cercato di scoprire e far conoscere l’impatto dei media sull’essere umano, dall’inizio della storia conosciuta fino al presente.»*

(*estratto dell’intervista a McLuhan,  Playboy Magazine, marzo 1969)